di Ivana Badolato | post su Facebook |
Mi ero ripromessa di leggere il tuo libro non subito. Di proposito non subito, perché ci sono libri verso i quali non ne sai bene il motivo, ma devi maturare un’attesa prima di riporvi attenzione. Ecco ora so che aspettavo mi colpisse una sensazione e si paventasse uno spunto altro, oltre le riflessioni che ci hanno mosso alla discussione la sera che ci siamo conosciute. Lo spunto è arrivato nel momento in cui ho considerato la solitudine di ciascun allarme al terremoto, lanciato qui ed altrove, per informare su quanto stesse accadendo. Il Boato come un Boom! Mi mancano poche pagine alla fine, ma in realtà è una fine che si concentra già in ciascuno dei racconti.
La fine dell’umanità nell’uomo, la scomparsa di ogni genere d’affettività precipua, la disintegrazione dell’essenza di contenuti, la vacuità di certe rilevanze che hanno un volto e dei nomi, l’invadenza della totale mancanza di riflessione verso i sentimenti e di cosa essi rappresentino, unita anche alla paura, forse, di provare dolore, che spinge i protagonisti ad un’alienazione imperativa rispetto quel vuoto smisurato che riempie le loro ricche vite. Vite ricolme d’impegni, vite intense e codificate nei e dai ruoli sociali, ma che nel privato cattivo gusto di non poter esser colte nella loro pienezza interiore, non lasciano spazio all’intendimento che possano mutare, redimersi in qualche modo. Ed i protagonisti di tale meschina contemporaneità sono uomini e donne che davvero stanno alla pari! In un perfetto equilibrio diverso, giacché le vite sembrano concatenate, ma ciascuna è a sé. Centrata sull’ego sotteso alla propria storia. Dagli Appennini alle Ande, da Nord a Sud, isole comprese, dall’anima al merchandising della stessa e del corpo, con la sua totale scomparsa che trattiene ferite, ma non le sfoggia nel cyberspazio, solo nella tristezza di quanto esso esteticamente ed esteriormente può. Solo istintivamente comprende, aggiungerei.
La rabbia è la sola tra le emozioni ad essere più facilmente riconoscibile. Non credo sia un caso che di vite semplici che subiscono ci sia minore presenza rispetto quella di esseri dal profilo top level, ma che risulta tanto tap e questo è ciò che conta. La “bassezza”, in questo caso, è preludio per innalzare il pensiero a come ciò non dovrebbe essere, a quanto potrebbe essere diverso senza le “finte maschere” sociali che supportano i “finti” volti. Facebook è il perno su cui fanno leva le popolarità ciniche delle vite-pantomima descritte, per esprimere i loro salti nel vuoto, nel nulla. Un bisogno incessante di apparire, dove nessuno è e come nessuno in realtà può completamente essere, perché nessuno è solo virtuale. Se il reale non fosse spesso meglio di così, tanto varrebbe “cancellarsi” agli occhi del mondo, del resto con un click sopra una tastiera è facile! Se guardandosi allo specchio, l’umanità si riconoscesse intera nel leggere ciascuna riga di se stessa, ritornerebbe savia e salubre!
Grazie Paola dello scorrevole scritto, grazie per aver reso leggibile il “peggio” o comunque una sua porzione, e darci spunti su cui riflettere. TVB è proprio perché lo sento qui e fuori da questo carrozzone virtuale.
Nella mia piccola realtà vera, sai come abbia inteso anche l’uso scolastico e valorizzante di questo trabiccolo tecnologico e degli altri social e del loro uso non abuso, strumentale ed anche pregevole. Si possono sempre ribaltare i termini della questione, sempre si sia disposti a tentare ! Anche l’indignazione profonda verso gli argomenti proposti nelle 18 storie è una risposta di rabbia altra e costruttiva contro certi percorsi e vicende, non ti pare? Una grande abbraccio.