cosa è il native ad
Qualcuno declina il native ad al maschile, qualcuno al femminile. Ma intanto, cosa è?
Nel 2013 lo IAB fornisce una prima definizione: “Il native advertising fa riferimento ad annunci a pagamento coerenti con il contenuto della pagina, con il design e il comportamento della piattaforma in cui sono ospitati, in modo che l’utente li percepisca semplicemente come parte di essa”. O, per dirla con Dan Greenberg, CEO di Sharethrough, uno dei primi ad utilizzare il termine, è “un tipo di media integrato nel design e dove gli annunci pubblicitari sono parte del contenuto”. Secondo Ian Schafer, CEO di Deep Focus, è una nuova versione degli advertorial, “pubblicità che sfrutta una piattaforma nel modo in cui questa viene usata dagli utenti”.
come e perché si sta sviluppando
Semplificando, è un contenuto sponsorizzato promosso e visualizzato all’interno dei contenuti offerti al lettori. Per semplificare ulteriormente, è la naturale evoluzione di pop up e altri push che hanno aperto il web alla pubblicità. Ma, a differenza della pubblicità tradizionale che ha l’obiettivo di “distrarre” il navigatore dal contenuto, il native advertising ha l’obiettivo di “immergere” la pubblicità all’interno del contesto. Lo scopo nel progettare e realizzare campagne pubblicitarie native non è solo attrarre l’attenzione dell’utente, ma creare un vero e proprio engagement, nel senso più puro del termine: coinvolgere. La caratteristica fondamentale della pubblicità nativa è di non interrompere gli utenti che stanno leggendo/consultando una pagina: il messaggio pubblicitario assume le stesse sembianze del contenuto diventandone parte con l’obiettivo di catturare l’interesse dei lettori.
Il paradigma che regge la filosofia del native ad è molto semplice: se un utente legge il testo di una pagina web significa che è interessato all’argomento, e dunque è molto più facile che sia interessato anche alla pubblicità, se questa ne è parte integrante. Direte voi: allora è un pubbliredazionale che si trasferisce dalla carta al web. E invece no: la tecnica della pubblicità nativa è quella di fondere il contenuto e i messaggi pubblicitari all’interno del contesto editoriale in cui la si colloca, proprio come succede per i pubbliredazionali, ma esplicitandone la natura. L’inserzionista non camuffa la pubblicità come se fosse un articolo (tecnica talmente abusata da trasformare il commerciale delle grosse realtà editoriali in redazioni parallele, ma soprattutto da rendere sempre meno credibili anche gli articoli che pubbliredazionali non sono, se spingono un brand o un’azienda).
il native ad vive tra noi
Le principali forme di pubblicità nativa, ci compaiono più volte al giorno: i true view di YouTube, i tweet e i post sponsorizzati. L’attenzione verso la pubblicità nativa è sempre più forte: i branded content conquisteranno sempre più spazio nel tentativo di aiutare le aziende a vendere in modo innovativo i loro prodotti o servizi, e i siti ospitanti a trovare finalmente una fonte di revenue interessante ed innovativa? Se le attese del vasto mondo del web mkt diventeranno realtà, questo modello metterà a dura prova la capacità del lettore di riuscire a distinguere i contenuti editoriali da quelli pubblicitari, ammesso che questa separazione importi ancora.
Non dimentichiamo il “banner blindness“, la “cecità da banner”: chi è abituato ad utilizzare il web ha una maggior capacità di identificare gli spazi pubblicitari contenuti nelle pagine consultate, il che fa sviluppare una sorta di indifferenza nei confronti della pubblicità, rendendola completamente inefficace. La banner blindness aumenta in modo esponenziale, e rende sempre meno efficaci le pubblicità incapaci di stimolare l’interesse del target al quale ci si rivolge. Il native advertising, la pubblicità nativa, permette invece di bypassare tale problematica: il contenuto sponsorizzato viene immerso all’interno del contenuto editoriale di pari argomento, aumentando la reach del messaggio.
ma funziona?
Secondo uno studio pubblicato su
American Behavioral Scientist i consumatori stanno diventando sempre più propensi ad accettare formati di pubblicità nativi. Certo, oggi si parla di grandi brand e geolocalizzazioni specifiche. Ma il media è globale, e tale dovrà essere anche, di conseguenza, l’incidenza positiva della pubblicità nativa.
I native ad, infatti, non respingono i consumatori come succede con pubblicità più intrusive. Il banner standard nell’header o nella barra laterale a destra non sono più efficaci: ne traggono benefici i proprietari di siti web che possono vantare grandi numeri di page view, ma il ritorno effettivo per l’azienda è sempre più prossimo allo zero. I pop-up e i formati full-page overlay infastidiscono i consumatori, mentre gli annunci nativi si fondono con il contenuto della pagina in un modo che li rende non intrusivi. I consumatori non sono stupidi, sanno che si tratta di pubblicità (anche perché viene chiaramente contrassegnata come tale), ma, come spiega John Rampton, “il motivo per cui le persone preferiscono annunci nativi è perché offrono informazioni fortemente legate ai contenuti che stanno consultando in quel momento, e questo aiuta l’inserzionista a stabilire un rapporto di fiducia quasi immediato con il consumatore. Poiché la pubblicità nativa viene percepita come contenuto di qualità superiore, generalmente si assiste ad un tasso di conversione superiore”.
Da quanto traspare dagli studi di settore, le pubblicità native portano un’audience di maggiore qualità, applicando nel migliore dei modi il concetto di “meglio la qualità che la quantità”. Non importa più il numero di visitatori che una campagna porta a un sito: quel numero da solo è inutile, senza un buon tasso di conversione. La domanda giusta è: quanto di quel traffico si è convertito in vendite generando effettivo utile? Gli annunci nativi permettono di attirare traffico di qualità molto più elevata (e dunque un maggiore feedback) perché permettono un targeting più perfezionato: chi clicca sull’annuncio è molto spesso realmente interessato a ciò che viene offerto. Meglio attrarre 100 visitatori da un native ad posizionato all’interno di contenuti di grande rilevanza, o 1.000 visitatori provenienti da una serie casuale di siti web? La curva costi/benefici è ben diversa. Anche perché gli annunci nativi hanno, almeno per ora, un costo per acquisizione inferiore.