Si chiama Evan Williams, ed è, tra l’altro, il fondatore di Twitter.
Sabato scorso in un’intervista al New York Times ha spiegato perché “The Internet is broken”, il web è rotto o, quantomeno, spezzato. «Favorisce gli estremi. Pensavo che il mondo sarebbe diventato automaticamente migliore se avessimo dato a tutti la possibilità di esprimersi. Mi sbagliavo». Anche lui come Eco contro la “legione di imbecilli” cui i social ed il web in generale avrebbero dato parola? O invece l’esatto contrario?
Evan Williams cresce nella Silicon Valley: nel 1999 fonda la piattaforma Blogger, una delle prime che ha consentito a chiunque di scrivere e pubblicare in rete; nel 2006 lancia Twitter; nel 2012 crea Medium, piattaforma minimalista di parole, con pochissime immagini, che cerca di risalire la china di sole immagini e video tanto in voga con Snapchat. Nel 2017 la certezza: «The Internet is broken», Internet non funziona più. Di più: «le cose continuano a peggiorare». Esempi? Quanti ne volete: Facebook che trasmette omicidi, Twitter egemonizzato da troll, le fake news più credibili e virali che mai: «Un tempo pensavo che, se avessimo dato a tutti la possibilità di esprimersi liberamente e scambiarsi idee e informazioni, il mondo sarebbe diventato automaticamente un posto migliore. Mi sbagliavo».
Perché Internet «premia gli estremi. Se vedi un incidente mentre stai guidando, ovviamente lo osservi: e tutti, intorno a te, lo fanno. Internet interpreta un comportamento simile come il fatto che tutti vogliano vedere incidenti: e fa in modo che gli vengano forniti. Il problema è che non tutti siamo persone perbene. Gli umani sono umani. Non è un caso che sulle porte delle nostre case ci siano serrature. E invece, Internet è iniziato senza pensare che avremmo dovuto replicare questo schema, online».
Un impatto immenso anche per il mondo dell’editoria, dove l’opera di Williams ha avuto implicazioni paragonabili a quella di Gutenberg. Gli sforzi dei giganti del web per sistemare quel che sembra un «errore di sistema» sono sempre di più: Google sta cercando di modificare i suoi algoritmi e di monitorare esiti non appropriati di ricerche; Facebook sta assumendo migliaia di persone per monitorare in tempo reale i contenuti postati da quasi due miliardi di utenti.
Un lavoro lungo nella speranza di invertire la rotta. «Credo» dice Williams «che riusciremo a sistemare questa situazione. Ma il lavoro è appena cominciato. Vent’anni non sono un periodo troppo lungo, per modificare i meccanismi di funzionamento della società».