The Good Place | 53 episodi, IV stagioni, 2016/2020, Usa
di Michael SchurNBC | Netflix
Perché guardare The Good Place? Perché è una serie divertente, dissacrante, rivoluzionaria, sovversiva, capace di far ridere sulle paure ancestrali dell’umanità: la morte e il dopo morte. Perché è una delle commedie più innovative degli ultimi tempi. E perché il finale è un vero colpo di scena, profondo e definitivo. Un finale che non ci si aspetta, ma che rende le quattro stagioni ancora più intense e cariche di messaggi.
Firefly lane (L’estate in cui imparammo a volare) | 10 episodi, I stagione, 2021, Usa
di Maggie Friedman
soggetto di Kristin Hannah (romanzo, 2008 Mondadori)
Quando l’amicizia è così solida e assoluta da superare ogni cosa (o quasi). L’estate in cui imparammo a volare – ma sarebbe molto più bello il titolo originale, Firefly lane, o persino una traduzione più letterale, tipo la rotta delle lucciole – segue il modello narrativo di This is us creando le medesime suggestioni.
BONDiNG | 15 episodi, II stagioni, 2019/2021, Usa
di Rightor Doyle
Bonding come legame, ma anche come pratica del bondage, schiavitù. Una full immersion nel mondo BDSM, acronimo di relazioni in condivisione di fantasie erotiche, ma non solo, basate sul dolore, sul disequilibrio di potere, sull’umiliazione tra due o più partner adulti – ma soprattutto consenzienti – che traggono soddisfazioni e piacere da queste pratiche.
El desorden que dejas (Il caos dopo di te) | 8 episodi, I stagione, 2020, Spagna
di Carlos MonteroVaca Films, Netflix
Un intreccio a due: due donne, due storie, due piani temporali. Un prima, quello di Viruca e un dopo, quello di Raquel, in un’unica classe di liceo in un tranquillo paese in Galizia, le cui atmosfere tanto ricordano Twin Peaks.
Caccia alla spia (Homeland) | 96 episodi, VIII stagioni, 2011/2020, Usa
di Howard Gordon e Alex Gansa
soggetto di Gideon Raff [serie israeliana Hatufim]Showtime | Fox | Netflix
Non è un caso che Homeland sia stata lodata dalla critica e dal pubblico fin dalla sua prima uscita. “Una serie a cui è impossibile resistere”: così il New York Times.
Cosa hanno in comune una birra, un amaro e le due grandi isole italiane? Cosa accomuna Sardegna e Sicilia nelle strategie di marketing territoriale?
Storie e magie dei luoghi che diventano il fulcro della narrazione identitaria di due prodotti da lanciare sul mercato.
Compro quella birra, bevo quell’amaro perché mi ricordano la terra di origine, i suoi colori, i suoi calori.
Ha iniziato Leo Burnett con lo spot per Ichnusa (produzione The Family, regia di David Holm, e fotografia di Justin Henning). Oggi è la birra di Sardegna, l’anima sarda in cui tradizione e innovazione si incontrano e sublimano. Quasi nessuno la conosceva prima del 2017, quando lo spot in bn inziò a girare sui canali nazionali, declinando nuraghi e loft, mammutones e Halloween, pastori e hipster, surf e social.
Certo, la birra è buona. Ma l’avremmo assaggiata senza quella narrazione identitaria? Siamo stati conquistati dal messaggio prima che dal gusto. Un messaggio chiaro, secco, irriverente. Una birra dal carattere deciso come la sua terra. Incontaminata, orgogliosa, raccontata in collage capaci di rivendicare l’autenticità di una terra fatta di tradizioni e del carattere di un popolo antico e fiero.
“Il marketing non si basa più sulle cose che fai, ma sulle storie che racconti”. Parola di Seth Godin, classe 1960, che dopo una laurea in informatica, una in filosofia e un MBA ha iniziato a studiare, applicare e spiegare le nuove frontiere del marketing: “Le persone non comprano prodotti e servizi, ma relazioni, storie e magia”.
Storie che prescindono dal mare da cartolina – al massimo quello cavalcato dai surfisti di Porto Ferro, o quello che dà il sound. La Sardegna solitamente rappresentata, quella dei panfili e dei like da influencer, è lontana anni luce.
Così nasce la narrazione identitaria, l’orgoglio di un territorio, la magia. Lontano dai cliché cui siamo sempre più abituati, raccontando storie vere.
Storie che evidentemente funzionano, se sta è appena uscito uno spot che ricalca il concept Sardegna/birra e lo declina sull’altra grande isola, la Sicilia, andando oltre i cliché da cartolina.
Succede che il vecchio mondo dell’amaro Averna non funziona più, va cambiato velocemente per non perdere fette di mercato. Wunderman Thompson crea una nuova narrazione dell’amaro siciliano con una campagna che celebra vibrazioni e modernità dell’isola, partendo dalle tradizioni (regia del siciliano Piero Messina e del parigino Greg Ohrel). In onda dal 30 agosto 2020, lo spot invita i consumatori a scoprire la ricchezza culturale e la vitalità dell’isola. A cavallo di un drone si sfreccia sul mar Mediterraneo, si approda nell’isola, si incontra una giovane donna che scende le scale avvolta in un tradizionale mantello popolare nero.
La colonna è ritmatissima, mescola siciliano e inglese, stacca dalla tradizione all’innovazione. La donna si toglie il mantello e regala vita. Velocità, profumi, colori, mercati, agrumi, sorrisi, brindisi, sorrisi, bicchiere di amaro, fiori, corse, palazzi, tavole, tavaglie, maioliche, sorrisi, pranzi, amaro, amici, convivialità, luoghi, persone, momenti.
L’amaro che ti apre un mondo è aperto sulla Sicilia migliore. Quella vera, quella che si conosce e di cui ci si innamora, a tal punto da volerla rivivere anche a casa, terminate le vacanze, cercando i suoi profumi e le sue emozioni nella bottiglia di amaro.
E dunque cosa hanno in comune Ichnusa e Averna?
Un territorio identitario di cui andare fieri: Sardegna e Sicilia sono un valore aggiunto per le due realtà imprenditoriali che hanno scelto di raccontare i due prodotti tutto sommato molto simili puntando sulla narrazione dei luoghi e della loro storia.
La domanda è: perché le altre regioni del Sud Italia – ma anche quelle del Nord – non vengono raccontate con lo stesso orgoglio di appartenenza identitaria? Forse perché non hanno lo stesso appeal di Sicilia e Sardegna? O perché i prodotti delle altre regioni non sono così identitari? O perché le aziende produttrici sono convinte che debbano essere gli enti locali – Regioni, Comuni, Città metropolitane – a studiare le giuste strategie di marketing, e nel frattempo staccano la comunicazione dei propri prodotti dal territorio in cui nascono?
In un mondo glocalizzato anche a livello di consumi, in cui l’identità è un valore aggiunto assoluto, la strategia di Ichnusa e Averna è doppiamente vincente: legare il prodotto al territorio crea un flusso empatico che va oltre il suo posizionamento sul mercato. E fa vincere due volte.
Sarebbe bello se anche altre aziende prendessero questa direzione strategica ed iniziassero a raccontare i propri prodotti inseriti nel territorio.
Nel frattempo attendiamo lo spot girato a inizio luglio per poco meno di due milioni di euro che la governatrice della Regione Calabria ha commissionato a Muccino sugli agrumi.
Paola Bottero | SUDeFUTURI MG
Nielsen, azienda globale di misurazione e analisi su consumatori e mercati diffonde i dati sulla pubblicità aggiornati a giugno 2020 e i titoli dei media che riprendono si dividono di netto: da una parte chi sottolinea la ripresa, seppure timida. Dall’altra chi punta sui segni negativi.
Ma i primi segnali di ripresa per il mercato pubblicitario a giugno ci sono. Lo dice la Nielsen stessa: “la fase negativa del mercato degli investimenti pubblicitari mostra a giugno segnali di ripresa rispetto al trimestre marzo-aprile-maggio, che ha risentito in maniera pesante del lockdown”.
Alberto Dal Sasso, Ais managing director di Nielsen, è ancora più preciso. “L’analisi del mercato pubblicitario non evidenzia nulla che non fosse già stato previsto per l’andamento del primo semestre 2020, che chiude in doppia cifra negativa. Nel corso dell’anno sarà importante focalizzarci sulle crescite congiunturali che danno il segnale dell’andamento nel breve periodo. In questo caso, il mese di giugno è cresciuto del 20% rispetto a maggio. Seppure la stagionalità degli eventi sia parzialmente cambiata, si tratta comunque di un dato importante e indicativo dell’atteggiamento delle aziende investitrici”.
Giugno chiude con una contrazione del 15,4% (a maggio era – 41,1%), che porta la raccolta del primo semestre in calo del 22,4% rispetto allo stesso periodo del 2019.
Spiega Dal Sasso: “Viste anche le recenti dichiarazioni provenienti da più parti, e date le condizioni attuali, dovremo assistere a un secondo semestre migliore dal punto di vista degli investimenti pubblicitari. I dati Istat su giugno evidenziano un miglioramento dell’indice di fiducia dei consumatori (da 94,3 a 100,6). Un dato positivo che ci restituisce un certo ottimismo sulla ripresa degli acquisti ma non si può comunque ancora trascurare la preoccupazione di imprese e investitori, il cui indice di fiducia, pur crescendo, rimane a un livello sostanzialmente basso (da 52,7 a 65,4)”.
Nel dettaglio la tv a giugno cala del -7,9%, chiudendo il primo semestre a -22,3%. I quotidiani e i periodici nel singolo mese perdono rispettivamente il -23,3% e il -50,9% (-26,7% e -43,1% nei sei mesi). Si riduce il calo della raccolta pubblicitaria della radio: -29,5% a giugno e -37,4% nel periodo cumulato.
Per quanto riguarda internet, sulla base delle stime realizzate da Nielsen, a giugno la raccolta dell’intero universo del web advertising, comprendente search, social, classified (annunci sponsorizzati) e gli ott, segna un calo del -10,6%, e porta la perdita del semestre a -13,7% (-15,8% se si considera il solo perimetro Fcp-Assointernet). L’outdoor perde il -49,9% (-56,4% nel semestre) e il transit il -73,7% (-59,5% nel semestre). Il direct mail chiude in calo del -27% il singolo mese (-37% a gennaio – giugno).
I settori merceologici tornati a crescere a giugno sono abitazione (+25,4%), distribuzione (+16,7), gestione casa (+17,7%) e media/editoria (+9,3%). Relativamente al primo semestre si registrano solo due comparti in crescita: gestione casa (+2,4%) e enti/istituzioni (+11,2%). Tra i settori con una maggiore quota di mercato, nel singolo mese di giugno calano in particolar modo bevande/alcoolici (-38,4%), automobili (-21,1%) e farmaceutici/sanitari (-24,5%).
Sempre a causa del lockdown, nel periodo gennaio-giugno si evidenziano gli andamenti negativi di automobili, tempo libero, alimentari e turismo/viaggio che perdono rispettivamente il -37,4%, -68%, -19% e -69,1%.
Eppure, ben lo sappiamo, sarebbe proprio questo il momento di iniziare ad investire.
Ritorna sullo Stretto per il “battesimo” di un nuovo granello.
SABBIAROSSA, nata dieci anni fa a Reggio Calabria come casa editrice e società di comunicazione strategica, diventata un punto di riferimento nazionale e internazionale e trasferitasi definitivamente a Roma alla fine dello scorso anno, ha appena pubblicato un nuovo libro, che sarà presentato martedì 18 agosto al Pepy’s Beach, sul Lungomare di Reggio Calabria (accanto all’Arena dello Stretto), dalle ore 19.30.
A tenere “a battesimo” vivere di.versi, oltre all’autrice Cetty Costa, al suo secondo libro, parteciperanno con le loro performance Rosanna Palumbo, Lorenzo Praticò e Tiziana Serraino. Musica e parole per raccontare, con la moderazione di Paola Bottero, il senso di un libro che non è un racconto lungo, né un romanzo breve: piuttosto un pamphlet 5.0, che parte da suggestioni psicanalitiche con cui l’autrice tratteggia, a penna e a matita, nove diverse personalità accomunate – come spiega il decimo personaggio – dalla tendenza di ciascuno a sentirsi ora Cappuccetto Rosso ora il lupo.
Che peso hanno i dolori altrui? Se non siamo partecipi allo sconforto di qualcuno, se non lo ascoltiamo, se è solamente un rodere sordo per le nostre orecchie, allora non esiste? Davvero “per tutti il dolore degli altri è dolore a metà”?
Domande importanti, quelle con cui inizia il percorso di vivere di. versi.
La storia antica di ciascun personaggio, che è insieme icona della nostra vita e (re)incarnazione di persone care all’autrice, si intreccia con la storia quotidiana di ciascuno di noi: è una sorta di staffetta, di passaggio del testimone per imparare a dominare le nostre emozioni e a trovare nella nostra autenticità una delle risposte alle tante domande che “volano nel vento”.
Il lockdown ha colto impreparati tutti, anche le aziende – grandi e piccole – che avevano pianificato campagne pubblicitarie. Chi ha potuto ha ritirato spot e visual pronti per attirare nuovi consumatori. Le pubblicità – in spot e in uscite per la cartellonistica stradale – già programmate sono andate sui media oltre metà marzo, in un clima che ha reso ancora più surreale e distopico il distanziamento sociale cui non eravamo (ancora) abituati.
Strade vuote, divieti di assembramenti, mascherine e paura mal si coniugavano con gruppi festanti intorno al prodotto pubblicizzato.
Poi è arrivato il silenzio. Prima di riprogrammare nuovi linguaggi e nuove abitudini, il mondo della pubblicità è stato risucchiato nel vuoto che si è mangiato tutto e tutti. Eppure era quello il momento più propizio per investire in pubblicità, quantomeno in quella televisiva: una sorta di tempesta perfetta, che avrebbe garantito di raggiungere il target più vasto di sempre, collegato accaventiquattro per avere informazioni e aggiornamenti sulla pandemia. Il tempo si era fermato per tutti, ma l’orologio continuava a camminare.
Smettere di fare pubblicità per risparmiare soldi è come fermare l’orologio per risparmiare tempo ci ha insegnato Henry Ford. Lo ripetiamo ossessivamente da decenni. Ma il tempo si è dilatato a dismisura, ha assunto forme e percezioni inimmaginabili fino a tre mesi fa.
Così il lockdown è diventato anche pubblicitario.
50 miliardi di dollari: questa la perdita pubblicitaria per il 2020 secondo il rapporto Global Advertising Trends di Warc. La ricerca evidenza come l’emergenza sanitaria del Covid-19 e la ripresa appena iniziata porteranno le aziende a contenere le spese in investimenti pubblicitari: la previsione è una fatturazione complessiva di circa 563 miliardi, l’8,1% in meno rispetto al 2019. Si tratta di una perdita minore rispetto a quella del 2009, determinata dalla crisi Lehman Brothers, che segnò un – 12,7%, a 60,5 miliardi. Ma pur sempre una perdita importante.
In realtà la perdita, in termini assoluti, è maggiore rispetto a 11 anni fa. Sempre Warc a inizio anno, poco prima della pandemia, aveva pronosticato un mercato 2020 in crescita di 96,4 miliardi (+7,1%). E dunque a fine anno gli investimenti pubblicitari saranno il 15% in meno di quanto previsto.
Investiranno di meno, dice la company londinese che vuole “salvare il mondo dal marketing inefficace”, il comparto dei viaggi e del turismo (-31,2%), l’intrattenimento (-28,7%), i servizi finanziari (-18,2%), il retail (-15,2%) e l’automotive (-11,4%).
L’unico mezzo a reggere l’urto, ma non è una novità, sarà internet. Secondo Warc la spesa sui social aumenterà del 9,8%, sui video online del 5% e sulla search dello 0,9%. Facebook continua a farla da padrone: gli investimenti pubblicitari dovrebbero aumentare dell’11,5% (77,6 miliardi di dollari, 5,3 miliardi in meno rispetto alla previsione di inizio anno).
Ma la vera novità, a parte i fatturati in discesa e orientati verso i new media, è nel cambio di registro. Mai come oggi è vera la tesi di McLuhan: il mezzo è il messaggio. Poco importa se si scelgono i social, la tv o altri mezzi. Importa come si comunica al potenziale acquirente. Importa che tutto ciò che è stato prima non funziona più dopo. AC versus DC, ante Covid-19 contro post Covid-19.
Gli esempi si moltiplicano, declinando in mille modi diversi il post pandemia: ormai isolamento, mascherine e distanziamento sociale fanno parte di noi. Impossibile produrre qualunque tipo di concept prescindendo dalla nuova realtà post lockdown.
Una realtà in continuo mutamento, che richiede grandi sforzi creativi per non rendere obsoleti i messaggi pubblicitari prima di veicolarli.
La protezione davanti a tutto: è il Leitmotiv ricorrente, che mette insieme prodotti molto diversi tra loro. Parla di protezione in modo esplicito il concept studiato per consolidare il brand di una nota marca di preservativi. Entra nel dibattito dei metodi per garantire la distanza sociale, scherzando sugli effetti della cipolla, la pubblicità per lanciare un nuovo panino da fast food.
Chiusi in casa abbiamo perso tante voglie e tante priorità, in termini commerciali. Prima fra tutte quelle di comprare una nuova auto.
A marzo, secondo Dataforce, le immatricolazioni da arte di utenti privati, già in calo rispetto a quelle del 2019, sono scese dell’85,37%: 28.521 vetture contro le 194.962 dell’anno precedente. Sempre a marzo, i passaggi di proprietà di auto usate registrato dall’Aci hanno registrato un -59,1% rispetto allo stesso periodo del 2019.
Durante il lockdown non si è persa la voglia di comprare un’auto, di prima o di seconda mano: il 71% degli italiani ha semplicemente rimandato l’acquisto ai prossimi mesi, quando ci sarà qualche certezza in più. L’11% sta pensando all’acquisto già in questa fase, scegliendo on-line o a distanza.
Così gli spot sulle auto si sono interrotti, per comparire sotto nuova veste. Durante la Fase 1, sospeso l’obiettivo di spingere all’acquisto, le maggiori case automobilistiche hanno scelto un tono speranzoso, talvolta retorico, ma comunque rassicurante: non più spot ma videomessaggi costruiti sull’unico concept che passava: “ce la faremo”.
Poi è iniziata la Fase 2, le strade hanno ricominciato a riempirsi. Oggi quasi abbiamo dimenticato il silenzio e la bellezza distopica di quel lungo periodo.
Ma le strade vuote ci sono entrate in casa proprio quando in casa eravamo costretti a stare sine die. Chiudeva sulla Mole Antonelliana, dopo una lunga carrellata sulle più note vie italiane, lo spot con la voce di Riccardo Scamarcio realizzato da Fiat-Chrysler sotto l’hashtag #noicisiamo. Apriva sul tricolore del Vittoriano il “messaggio di speranza” creato da Renault: un volo di drone romano tra Pantheon, piazza Navona, villa Borgese, piazza del Popolo, per chiudere sulla terrazza del Pincio con un primo piano sull’ultimo modello in uscita.
Ripartiamo insieme è il pay-off dello spot/messaggio di Toyota. Suggestivo fin dalle note di Vincerò, con più voci narranti: quelle degli atleti, in chiusa Bebe Vio. L’Italia che combatte e vince accostata alle cicatrici del kintsugi, antica arte che restituisce vita alla ceramica rotta colando oro sulle linee di frattura, rendendo preziose le cicatrici. L’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite, è il messaggio forte, di speranza, regalatoci dalla casa giapponese.
Decisamente più forte, seppure dello stesso tono, il messaggio costruito dall’altra casa giapponese, Mazda: abbiamo superato Hiroshima, potremo superare il lockdown da Covid-19.
Patriottismo Uber Alles, in tutti i luoghi e in tutti i laghi. L’Italia che resiste di Barilla ha la voce di Sophia Loren. Fiat ha scelto, per una lettera di speranza, quella di Francis Ford Coppola from Little Italy to Big Italy.
Nike arriva sempre: il suo branding, che ci ha abituati a messaggi positivi, arriva con chiarezza e sentiment in bianco e nero. Se giochiamo in casa giochiamo per il mondo intero: This is our chance. Play for the world.
McDonald’s come al solito c’è, e alla grande. Con uno spot in formato pre-roll, le pubblicità che appaiono prima di un video su YouTube, che non si possono skippare: 20 secondi che non potete saltare, quelli in cui si lavano le mani.
Ma prima ancora c’è stato il layout in cui sono stati separare anche i due archi che formano il logo. Due ottimi modi per aiutare i giovani a entrare nel nuovo mood dell’igiene continua e del distanziamento sociale.
Gli esempi sarebbero ancora tanti e tanti, tutti verso una narrazione, uno storytelling capace di veicolare messaggi positivi. Coca-Cola Italia, ad esempio. Per sostenere la Croce Rossa Italiana si è affidata a Cesare Cremonini e alle sue note: “Anche se distanti, restiamo uniti. E domani sarà un giorno migliore”.
Ikea ha scelto di far parlare le case, che in questo periodo sono diventate tutto il nostro mondo: “Io sono casa tua e sarò sempre qui per te, non importa cosa accadrà”. Facebook ha fatto una sintesi del tutto: le città vuote contrastate da volti e momenti felici, perché finché avremo un modo per trovarci non saremo mai davvero perduti.
Il consumatore si ricorderà i brand che gli sono stati vicino in questo periodo difficile. Lo pensano e lo ripetono tanti esperti di comunicazione, pubblicità e marketing, preparandosi a nuovi registri, linguaggi, contenuti e toni dei messaggi pubblicitari. Che stanno riprendendo, poco per volta.
Compaiono sempre più sui social, accanto ai tantissimi siti che vendono on line fashion travestito da mascherine. E tra non molto forse perderemo anche la voglia di comprare mascherine meno sanitarie e più glamour.
Prove da new media, ritorno ai mass media: il mondo della pubblicità sta rimettendosi in gioco. Con tante domande: davvero i consumatori vorranno ricordare chi è stato vicino durante il lockdown? Davvero non continueranno a cercare spensieratezza ed evasione?
Oggi vedere persone vicine senza mascherine mette a disagio. I tavolini devono essere distanziati, la confusione bandita. Continuerà così o presto cambieranno ancora le regole di ingaggio?
Certo è che smettere di investire in pubblicità oggi è ancora più sbagliato di quanto non lo sia mai stato, da quando esiste l’advertising. Magari è giunto il momento di scegliere strategie di qualità più che di quantità: i mezzi per diffondere i propri messaggi, se sono buoni e funzionano, sono davvero alla portata di tutti.
Intanto il Decreto Rilancio pensa anche a chi viveva sulla pubblicità. Partendo dal Fondo emergenze emittenti locali: 50 milioni, per “trasmettere i messaggi di comunicazione istituzionale relativi all’emergenza sanitari”. Sempre in via straordinaria per il 2020 sono istituiti diversi crediti di imposta per gli editori. C’è poi il Bonus edicolanti, “contributo una tantum fino a 500 euro, entro il limite di 7 milioni di euro per l’anno 2020”, e tante altre agevolazioni.
Ma soprattutto aumenta il bonus pubblicità: il Decreto Rilancio porta la misura del credito di imposta sugli investimenti pubblicitari dal 30% al 50%, con un tetto di spesa di 60 milioni di euro. La base di calcolo dell’agevolazione è costituita dall’intero valore dell’investimento pubblicitario effettuato, anziché dalle sole spese eccedenti rispetto all’anno precedente.
Sono ammessi al credito d’imposta gli investimenti pubblicitari effettuati e programmati nel 2020 su stampa quotidiana e periodica, anche online, e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali. Sono escluse le spese sostenute per altre forme di pubblicità, come la realizzazione grafica pubblicitaria, la pubblicità sui social media, i volantini cartacei periodici, la cartellonistica.
A settembre 2020 bisogna “prenotare” il Bonus: si richiede all’Agenzia delle Entrate di riservare risorse per la propria domanda tramite la Comunicazione per l’accesso al credito d’imposta, in cui si riportano le spese programmate o sostenute per campagne pubblicitarie nel corso dell’anno.
Entro il 31 gennaio 2021 si presenta la domanda di accesso al credito vera e propria tramite la Dichiarazione sostitutiva relativa agli investimenti effettuati, presentando il totale delle spese effettivamente sostenute in pubblicità durante il corso del 2020.
articolo di Paola Bottero pubblicato su SUDeFUTURI MG
Invece di lavorare spinti sulla strategia di social media marketing, strategist ed addetti al mkt dovrebbero combinare i diversi mezzi, creando tattiche social e accedendo alla new tecnology non in modo diretto ed unicìvoco, ma mescolando carte e canali per garantire l’efficacia delle azioni.
Potrebbe essere sintetizzato così il consiglio di Forrester, società americana di ricerche di mercato che fornisce consulenza sull’impatto attuale e potenziale della tecnologia.
Forrester ha appena reso noto i risultati della sua ultima ricerca: sui social media nel 2020 si spenderanno 112 miliardi di dollari in pubblicità. Eppure gli addetti ai lavori sono insoddisfatti, rivela il sondaggio appena terminato: il 31% degli intervistati rivela di non saper dimostrare l’impatto dei social sul business.
Forrester non ha dubbi: i social disorientano gli operatori. Non è sufficiente una campagna promozionale per impattare sui social. Non basta calendarizzare una spesa, cercare una creatività accattivante e buttare là, nel mare magnum della rete, il frutto di un lavoro fine a se stesso.
In troppi hanno iniziato a lavorare sui social con aspettative irrealistiche, convinti che di un guadagno facile, di poter sbloccare grandi profitti con poca fatica. I risultati sperati non sono arrivati subiti: gli effetti sono lunghi, bisogna lavorare con strategie dilazionate nel breve, medio e lungo periodo. Così le aziende e i loro consulenti hanno cominciato a credere che i social potessero essere utili solo con la pubblicità: un nuovo mezzo, niente di più. Ma è un grande errore pensare che la pubblicità sia l’unica opportunità offerta dai social media.
Forrest, nel descrivere le ragioni alla base della maggioranza degli errori fatti sui social e nell’indicare come le aziende dovrebbe usare le competenze social per rafforzare altre funzioni di marketing, descrive in realtà il nostro lavoro. Il che ci rende particolarmente orgogliosi. E i risultati che raccogliamo nel tempo non fanno altro che consolidare i dati divulgati dalla società di ricerca.
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