Ci vuole una buona dose di follia per fare impresa in un settore in decrescita costante come quello dell’editoria. Ormai tutti scrivono, mentre leggono sempre meno persone. Come se la distopia di Fahrenheit 451 si fosse avverata al contrario: non con la distruzione dei libri ma con un tale sovraffollamento di carta stampata da rendere ogni libro apparentemente privo di valore.
Quando abbiamo deciso di trasformare la nostra follia in una casa editrice – era il 2011 – non era un buon momento per sfidare un mercato piegato su se stesso. A parte l’autopublishing, che già si stava consolidando come un fenomeno di massa, la piccola e media editoria si stava trasformando in attività tipografica per conto terzi: era già nato il fenomeno dell’editoria a pagamento, che oggi ha praticamente invaso il mercato. Sapevamo a cosa andavamo incontro. Ma sapevamo anche che il nostro amore per i libri non poteva essere messo a tacere.
Abbiamo iniziato dal Sud del Sud, dalla punta dello stivale dove stanno le nostre radici più antiche. Non volevamo – non vogliamo – salvare persone o territori: volevamo – vogliamo – salvare noi stessi dalla crisi culturale che ha appiattito tutto verso il basso. E magari sperare che qualche granello di sabbiarossa affidato al vento, se non riuscirà a fermare la macchina infernale di cui scriveva Norberto Bobbio, almeno sia in grado di svegliare qualcuno dal sonno della ragione.
Qualche volta è accaduto che un granello di sabbia sollevato dal vento abbia fermato una macchina. Anche se ci fosse un miliardesimo di miliardesimo di probabilità che il granello, sollevato dal vento, vada a finire nel più delicato degli ingranaggi per arrestarne il movimento, la macchina che stiamo costruendo è troppo mostruosa perché non valga la pena di sfidare il destino.